FOTOGRAFIA
05/07/2018SUUNTO: PESSIMA VALUTAZIONE
26/04/2020LA CAMERA OSCURA
Ci sono modi di dire, parole, luoghi, che col passare degli anni assumono significati diversi, al punto da perdere qualsiasi senso logico. Stamattina guardando delle vecchie foto in bianco e nero mi è venuta in mente la camera oscuraW. I giovani fotografi figli del digitale probabilmente non ne hanno mai vista una, ma da ragazzo ci passavo notti intere: si usciva a fare foto, poi si rientrava, si sviluppavano i negativiW, si aspettava che asciugassero e via, sviluppoW, fissaggioW, lampada rossa, ingranditoreW e iniziava il divertimento.
Sarà che non uscivamo molto (secondo i nostri genitori si, ma rispetto ad oggi eravamo delle educande), sarà che a Roma (Civis Romanus Sum!) tra politica e droga la notte spaventava i nostri genitori al punto che potevamo fare -quasi- qualsiasi cosa pur che restassimo in casa. Il nostro interesse per la fotografia, insomma, era ben visto e le -piccole- richieste di danaro per i -pochi- materiali -generalmente- non incontravano ostacoli. Sono quasi convinto che le nostre madri si mettessero d’accordo per tenerci, a turno, in casa: una volta da me, un’altra da Stefano e Silvano, un’altra da Romolo o Massimo.
E poi c’era anche il mistero dell'alchimiaW, dell'iniziazioneW, del ritualeW, perpretato con le braccia dentro il sacco a pelo (!) o sotto le coperte, dello srotolare, dell’avvolgere, del chiudere la pellicola nel tank per lo sviluppoW. Già, perché la pellicolaW era sensibile anche alla luce rossa e per svilupparla era necessario, al buio più completo, montarla nel tank aprendo il cilindretto di metallo che la conteneva: il rullinoW. Quelli KodakW non si aprivano neanche col martello e bisognava trattarli bene, perché acquistavamo la pellicola a metri e ci facevamo i rullini da soli riciclando i contenitori usati. Per svilupparla, la pellicolaW andava fatta scorrere dentro una specie di spirale che poi si inseriva in un contenitore con unaa bocca di lupoW che consentiva di inserire i vari liquidi senza far entrare la luce. Una quindicina di minuti e si poteva stenderla in bagno, appendendola ad un filo per i panni come un calzino. E si doveva girare alla larga perché pelucchi, polvere e graffi avrebbero rovinato i nostri capolavori. Insomma si assumeva un’aria da iniziati e ci si sentiva importanti.
Lo sviluppo della pellicolaW era completamente invisibile: iniziavi e vedevi il risultato alla fine, tutto insieme; ma le stampe le vedevi venir fuori piano piano, come per un miracolo. Anche se sapevo bene come funzionava tutta la faccenda, ogni volta ero stupito dall’apparire delle immagini: le facce degli amici, i luoghi della nostra adolescenza, tutto passava attraverso le lenti degli obiettivi prima di colpire il nostro occhio e poi finire su un pezzo di carta. Sarà per questo che i ricordi sono ancora così vivi: perché l’attenzione che mettevamo nel cogliere l’attimo era massima, visto e considerato che le pellicole costavano ed il numero di scatti era limitato a quelle che potevi permetterti e che riuscivi a portarti dietro. Vivevamo con risorse limitate e dovevamo fare con quello -poco- che avevamo. Altro che 256 giga e millemila scatti 🙂
Iniziammo (sono stato fortunato perché la mia adolescenza è stata una -costruttiva- esperienza di gruppo) presto a capire che avevamo ampi margini operativi nello sviluppoW e nella stampaW. Il colore era un sogno (in quegli anni era impossibile per i costi delle attrezzature e dei materiali di consumo) quindi vivevamo in un mondo in bianco e neroW. Presto apprendemmo che esistevano carte dureW e carte morbideW, Le prime, le mie preferite, scolpivano i grigi rendendo immagini molto contrastate, mentre le altre erano più disposte a rappresentare i grigi intermedi. Per carattere (ancora oggi!) i toni di grigio non so neanche che esistono ed anche il mondo mi appare come una foto stampata su una carta a gradazione 9. Ne ho ancora qualcuna di quelle foto:
Il giallino che si vede dipende dal fatto che quelle foto hanno più di 40 anni, e nel tempo hanno ripreso un po’ di grigi, come a cercare, nel tempo, di tornare alla propria originalità e rigettare le mie intemperanze; in realtà erano più contrastate.
Scoprimmo poi che anche le pellicoleW erano state dotate dai loro fabbricanti di un’anima, e se la IlfordW produceva supporti dalle infinite tonalità intermedie la KodakW aveva a listino la Tri-XW (400 asa!) che era il mio ideale complemento di vita. Il mio idillio con quella pellicola durerebbe ancora oggi se non avessero smesso di produrla.
Oggi scatti, guardi (dopo, non prima!), ritagli ed invii a qualche social networkW. Oppure metti la scheda di memoriaW nel computerW, copi i filesW e carichi PhotoshopW. Ecco, siamo arrivati al motivo del mio scrivere. Sono nell’informatica da sempre (dai primi anni ’80) e PhotoshopW l’ho visto nascere. Lo considero uno strumento fondamentale ed utilissimo, ma ultimamente mi frulla qualcosa nella testa, specie dopo aver letto la storia di Narciso ContrerasW:
La realtà è quella che uno vuol vedere, ma i dirigenti dell’agenzia Associated PressW con l’interpretazione della realtà non scherzano affatto e così hanno licenziato in tronco il fotografo messicano, dopo aver scoperto che il vincitore del PulitzerW nel 2013 (assieme ad altri quattro colleghi) aveva taroccatoW una foto eliminando dal ritratto di un miliziano siriano che impugna un mitra la telecamera di un collega.
Quella delle foto “pastrocchiate” è un racconto che inizia con l’invenzione del dagherrotipoW. La storia è piena di fotomontaggiW, falsi, alterazioni più o meno giustificabili della realtà. L’ex Unione SovieticaW ha fatto scuola, con personaggi che comparivano e scomparivano a seconda del gradimento presso il PCUSW. In particolare la presidenza di StalinW ha lasciato delle vero opere d’arte:
Alexander MalchenkoW, non più gradito, scompare dalla foto (fonte wiki).
ArtemyW, TrotskyW e Lev KamenevW sono cancellati dalla foto del Novembre del 1917 (fonte wiki).
YezhovW viene rimosso dopo la sua fucilazione (fonte wiki).
L’arte del falso fotografico non appartiene però alla sola Unione SovieticaW ed anche negli Stati UnitiW esistono esempi illuminanti:
Una famosa foto di Abramo LincolnW: il corpo è del politico John CalhounW e testa è del Presidente americano.
Francis P. BlairW è stato aggiunto in un secondo momento alla foto del Generale ShermanW con i suoi generali.
Famosa foto del 1864 del generale Ulysses S. GrantW durante la Guerra Civile AmericanaW. Questo il montaggio (a partire da in basso a destra in senso orario): la testa del Generale GrantW è stata montata sul corpo, a cavallo, del generale Alexander M. McCookW, sullo sfondo dei prigionieri catturati nella battaglia di Fisher’s HillW.
Non sfuggono a questa brevissima e non esaustiva disamina i sudditi della Corona IngleseW:
Il primo ministro canadese William Lyon MackenzieW con la regina Elisabetta IIW. C’era anche Re Giorgio VIW, eliminato in un secondo momento.
L’avvento del digitale ha semplificato el cose consentendo di operare con il fotoritocco a diversi livelli.
PhotoshopW è diventato una specie di trattamento di bellezza, una cura estetica estemporanea e potentissima contro i guai del tempo e della tavola, la panacea di tutti i problemi ‘estetici’ (e non) legati alla fotografia.
Divertente la pubblicità creativa su MadonnaW: “Qual’è il segreto del mio successo? La crema da giorno Adobe Photoshop”. Meno divertente la manipolazione dell’immagine della modella Karlie KlossW per rendere socialmente accettabile anche un fisico pressoché anoressico.
Un ulteriore utilizzo è la creazione “tout court” di immagini partendo da zero. Anche in questo campo, e prevalentemente in campo pubblicitario, PhotoshopW (ed il suo complemento IllustratorW) la fa da padrone:
Per finire, PhotoshopW può essere utilizzato anche come una semplice camera oscuraW; quindi da la possibilità di modificare tonalitàW, contrastoW, luminositàW (e molto altro!) di una fotografia senza alterarne i contenuti. Certamente l’immagine risultante è sempre frutto di una manipolazioneW, ma agendo solo sulle dominanti del coloreW, del contrastoW e della luminanzaW si fa un lavoro da camera oscuraW piuttosto che di manipolazione dei contenutiW o di creazione di contenutiW.
Ecco un esempio di immagine trattata in modalità “camera oscura”, dove l’immagine originale viene contrastata, leggermente scurita e desaturizzata:
In tutti i casi l’utilizzo di Photoshop sulle fotografie è finalizzato al miglioramento e/o alla modifica dell’immagine originaria, per gli scopi che l’operatore si prefigge. Sono quindi definibili come “manipolazione dei contenunti”:
L’alterazione dei contenuti di una fotografia che mira a dare una rappresentazione non reale di un evento: è il caso del reporter che ha eliminato la parte della fotografia che non riteneva congrua con il messaggio che voleva comunicare, ed anche gli esempi di foto con persone che appaiono e scompaiono. Voglio dire ‘la foto non esprimeva ciò che il reporter voleva esprimere e la ha corretta per adattarla alla propria idea’.
La correzione delle imperfezioni, che può consistere nel semplice spianare la pelle (Julia Roberts) piuttosto che realizzare un makeup virtuale completo (Madonna) con alterazione dei lineamenti ed arrivare ad cambiare la silouette di una modella (la rivista Nitro) o eliminare le imperfezioni ‘politically incorrect’.
Si può definitre “creazione dei contenuti”:
L’utilizzo degli strumenti digitali per creare ex-novo immagini e disegni. Ad esempio immagini di improbabili siringhe costituite da bottiglie di birra o banane da spremere come tubetti di dentifricio. Probabilmente sitratta di immagini realizzate con programmi specifici di disegno vettoriale o modellazione solida, e l’immagine è completamente realizzata al computer.
È “lavoro da camera oscura”:
Qualsiasi attività tesa a non modificare altri aspetti se non luminosità, contrasto, gamma, saturazione, bilanciamento dei colori dell’immagine originale.
Uso quotidianamente – ed apprezzo- Photoshop e penso che se tra lo scatto e l’immagine finale c’è una manipolazione di contenuti non si possa più parlare di “fotografia” ma si debba parlare di “immagine”. Perché lo scatto non ha altra valenza che l’immissione di informazioni nel sistema che viene poi usato per gestire contenuti e messaggio. Come fotografo (ancorché scarso e dilettante) non riesco ad immaginare che il frutto di una manipolazione con Photoshop possa chiamarsi ancora “fotografia”. Una cosa è cercare l’inquadratura, studiare il momento, l’illuminazione, l’ora del giorno per fare uno scatto ed una’altra è prendere un file RAWW, aprirlo con Photoshop e togliere il cane del vicino, lisciare la pancia della fidanzata dello zio e togliere il brutto quadro dal muro.
E va a finire che se avete un appuntamento con Madonna rischiate di non riconoscerla.